La gianpegnifipendatta stupidità dell’uomo

Nicola Ianuale

C’era una volta un influencer… e che influencer! Cercatelo pure su Instagram: @gianmariadeglialberici. Che poi, Gianmaria non era nemmeno il suo vero nome e degli Alberici certo non il suo vero cognome. Però suona bene, giusto? Il punto è proprio questo. Suona bene e sembra il nome di un tizio importante. Dopotutto, che importa? Sui social conta di più l’apparire. L’essere è démodé. Pardon, linguaggio troppo forbito. Volevo dire… fuori moda, passato, da boomer. Non sono parole mie, ma di Gianmaria – il cui vero nome, a momenti, se l’era pure dimenticato – che ogni tanto aveva qualche reminisc… ehm, qualche vago ricordo della sua vita passata, prima dei like, dei follower, dei post sponsorizzati, ecc. Forse, mi sono dilungando un po’ troppo… e siamo solo all’incipit! Prima regola dei social: sii breve e conciso, altrimenti il pubblico perde attenzione. Abbiate pazienza, signore e signori. Ricominciamo.

C’era una volta un influencer… e che influencer! Gianmaria degli Alberici, il tizio divertente di Instagram e TikTok, il ragazzo da tre milioni di follower. Le aziende se lo contendevano e le richieste di collaborazione dalle agenzie di marketing intasavano la sua mail da mattina a sera. Ma il nostro Gianmaria non era contento. Questa storia ha inizio mentre era seduto davanti a un giornalista che lo stava intervistando. Le domande erano sempre le stesse.
«Come hai iniziato?»
«Come hai fatto?»
«Hai ricevuto supporto da amici e familiari?
«Quali progetti hai per il futuro?».
Gianmaria odiava quelle domande e, per convenienza personale, rifilava sempre le stesse baggianate. Il duro lavoro, i sacrifici, la resilienza, la forza di volontà. Voglio fare questo, voglio fare quest’altro… Eppure, quella volta proprio non gli andava di recitare il solito copione. Mentre il giornalista lo fissava in attesa delle classiche frasi di rito – in realtà era già pronto a scriverle, tanto che erano prevedibili – Gianmaria ripensò al passato, a quando voleva fare lo scrittore. Anni addietro, prima della fama e del successo, leggeva classici e narrativa di gran spessore, scriveva romanzi e racconti introspettivi, profondi, filosofici… insomma, poco commerciali. Parole non sue, quest’ultime, ma della gente a cui faceva perdere tempo proponendo le sue opere. Povero Gianmaria. Voleva fare lo scrittore, l’intellettuale. Poi, un giorno aveva iniziato a pubblicare post idioti sui social. Qualche meme, qualche oroscopo campato in aria, un paio di frasi ironiche e… Puf! Carica e carica, l’algoritmo aveva deciso che Gianmaria degli Alberici doveva diventare famoso attraverso piogge di like, ricondivisioni, follower. E da lì che fai? Non alzi l’asticella? Non continui? Tanto di fare lo scrittore non se ne parlava, quindi via con altri post, video… e qualità sempre migliori. Fin quando non gli era arrivata la prima delle tante e-mail di aziende interessate a delle sponsorizzate. Immaginatevi il nostro Gianmaria in tenuta da cowboy che sguaina dal fodero lo smartphone e spara a ripetizione “#adv”. Pen, pen, pen. Promozioni, merchandising e offerte volavano un po’ dappertutto e quando Gianmaria deponeva le armi, aveva sempre un bel gruzzoletto in saccoccia.

Ma i soldi sono belli fino a un certo punto… Non aggreditemi, vi prego. So di aver detto un’eresia! Comunque, il nostro caro influencer era lì che ripensava al passato.
Il giornalista lo incalzò: «Signor degli Alberici, allora?».
Gianmaria ebbe un’illuminazione. Eureka!
«Può ripetere la domanda? Scusi, ero distratto».
«Come ha fatto a ottenere tutto questo successo?».
Gianmaria esitò e, il giornalista, spazientito, cercò di suggerirgli le risposte con il labiale: “Sacrificio, determinazione, resilienza…”
«E io che ne so», esclamò d’un tratto. «Ho caricato delle stronzate e un algoritmo del cazzo ha deciso che dovevo diventare famoso».
Silenzio tombale.
«E questo succede perché la fortuna aiuta gli audaci e lei non ha mai smesso di crederci, di fare sacrifici…», provò ad aggiustare il tiro quel povero giornalista incredulo.
«No, non ho fatto assolutamente nulla. Avanti, scriva. Aspetti, gliela ripeto: “Ho caricato delle stronzate…”. Posso dire stronzate?».
«Ehm, non saprei. E se usassimo “resilienza”?».
«No, va bene stronzate. Scriva, scriva. “Ho caricato delle stronzate e un algoritmo del ca…”. Posso dire “del cazzo”?».
«Ehm, non saprei. E se scrivessimo “algoritmo provvidenziale”?».
«Ma no! Va benissimo “del cazzo”. Ricominciamo: “Ho caricato delle stronzate e un algoritmo del cazzo ha deciso che dovevo diventare famoso”».

Quando, giorni dopo, uscì l’intervista – e parliamo di un giornale importante – Gianmaria si aspettava che quel castello di carta finalmente crollasse. Invece no!
Titolo: “ALGORITMO DEL CAZZO”.
Sottotitolo: “Gianmaria degli Alberici tuona contro i social”.
Le premesse non sono buone, ma andiamo con ordine e sbirciamo l’articolo:
“La sua è una dura critica al sistema dei social network, meritevole solo in parte e regolato da un misto di calcoli e parametri che creano falsi miti e maschere. La lucidità che ha avuto questo giovane imprenditore nel denunciare una realtà sotto gli occhi di tutti è encomiabile, degna dei più grandi intellettuali della Storia”.

“E certo!”, pensò Gianmaria. “È più facile passare da influencer a intellettuale che da intellettuale a influencer”.
Eppure, tutto sommato, quell’ennesimo caso fortuito non gli dispiaceva. Come si suol dire, se tanto mi dai, tanto mi prendo. Allora, perché no? Perché non sfruttare quell’ipocrisia e vedere fin dove poteva spingersi? Detto, fatto. Un grande editore, uno dei più importanti, si mise in contatto con lui e gli offrì la possibilità di pubblicare un libro.
«Ma come? Non l’ho nemmeno scritto e già vuole mandarlo in stampa?».
«Sono sicuro che sarà un capolavoro», rispose il tizio.
Gianmaria poteva tranquillamente prendere i suoi vecchi romanzi – quelli profondi, filosofici, introspettivi… e noiosi – per farseli pubblicare, ma sarebbe stato troppo facile. Non era più il ragazzo che li aveva scritti. Il suo nome di allora nemmeno gli suonava più familiare. Nossignore. Gianmaria degli Alberici non avrebbe mai potuto scrivere un romanzo profondo, filosofico, introspettivo… e noioso. Beh, allora che si fa? Eureka!
Gianmaria lavorò giorno e notte a qualcosa di… terribile! In realtà ci lavorò esattamente un giorno e una notte; non che ci volesse molto a partorire uno scempio del genere. Ah, giusto, volete sapere del suo capolavoro. Ebbene, Si inventò una trama scontatissima: la storia di lui che ama lei, ma lei ama un altro e l’altro ama un’altra ancora. Inizio, svolgimento e fine. Tutto all’insegna della banalità. Inizio banale, intreccio banale e finale banale. Ma non è finita qui.
«È troppo facile scrivere il romanzo con la peggior trama della storia», si disse.
E allora Gianmaria lavorò un altro giorno e un’altra notte ancora per distruggere la grammatica e la sintassi del suo scritto. Frasi senza senso, errori a non finire, verbi non coniugati a dovere, d eufoniche a caso, discordanze di genere e numero… Il risultato fu l’equivalente del tema scolastico di un bimbo delle elementari alle prese con il suo primo compito. Ma no, che dico! Il bimbo avrebbe fatto meglio e Gianmaria se ne rallegrava. Fine. Allega documento. Manda e-mail. Il tempo di girarsi una sigaretta e subito arrivò la chiamata dell’editore:
«GENIO! SEI UN GENIO! G – E – N – I – O».
Urlava così forte che Gianmaria gli attaccò il telefono in faccia e se ne andò a fumare.

Il libro uscì e fu accompagnato da una campagna di marketing impressionante. Il nostro caro influencer, ovviamente, pubblicizzò la notizia su tutti i social e invitò i suoi followers a farsi truffare con quella storiaccia. Chi un po’ ne capiva di letteratura, critici inclusi, stroncarono il romanzo e lo definirono “una pagliacciata” – come dargli torto – ma i fan non erano d’accordo: “La storia è avvincente”, “Gianmariadeglialberici – manco la briga di separare nome e cognome; meglio usare direttamente il nickname – ha scritto un capolavoro, una dura critica alla letteratura tradizionale”, “È un punto di rottura col passato”, “È un visionario”, “Ha rotto gli schemi della grammatica scolastica”, “La sua sintassi sgangherata è un j’accuse alla pomposità di certi scribacchini”, e via dicendo.

Gianmaria finì ospite nei migliori programmi televisivi, sulle copertine delle principali riviste nazionali e anche fra i candidati al prestigiosissimo Premio Strega. Lo vinse, meritatamente a detta dei fan, e un grande giornale lo ingaggiò per occuparsi di una rubrica dedicata agli eventi culturali. Aveva carta bianca: poteva scrivere di tutto. E Gianmaria lo fece. Si divertiva particolarmente a recensire spettacoli teatrali. Sentite qua: “Ieri sono stato alla Scala di Milano. Andava in scena… Boh, non ricordo. Comincia lo spettacolo. Subito mi addormento. Avevo sonno. L’urlo di un attricetta mi sveglia dopo cinque minuti. Bestemmio. Sottovoce, perché sono educato. Poi decido di masticare una gomma. Era alla fragola. Molto buona. Voto: 8 su 10. Comunque la metto in bocca. Prima a sinistra. Mastico, mastico, mastico… e mi gratto il naso. Ah, intanto lo spettacolo va avanti, eh. Continuo a masticare. Con la lingua sposto la gomma a destra. Mastica, mastica, mastica… e mi riaddormento. Finalmente, aggiungerei. Peccato che dopo una mezz’oretta mi sveglia l’urlo di un attore. «Che cazzo ti strilli?», penso in testa a me. Siamo pur sempre a teatro, no? E dicevo. Mi sveglio e ho ancora la gomma in bocca. Ormai il sapore è bello che andato, perciò la sputo elegantemente in un fazzoletto e torno a dormire. Ricordo che per un po’ mi sono accasciato sul lato sinistro, dove c’era una signora sulla sessantina un po’ nervosetta. Mi guardava come a volermi sgridare. Altro urlo. «Ma sapete recitare a bassa voce?». Questa volta mi scappa e lo dico per davvero. La signora mi risponde: «Giovanotto, è una tragedia». «Ho notato – le rispondo – ma qui c’è gente che vorrebbe dormire». «E quindi?». «E quindi, se mi sveglio di continuo diventa anche per me una tragedia!». E niente, così mi sono giocato il lato sinistro. Allora, decido di guardare un po’ lo spettacolo. A volte sembrava Shakespeare, a volte Cechov, a volte… E via a dormire sul lato destro. Non so lì chi fosse seduto accanto a me, ma so che al mio risveglio non c’era più. Come tutto il resto della sala. Spettacolo finito. Voto: 4. Abbiate rispetto per chi vuole dormire, grazie”.

E questa era una delle sue recensioni “migliori”; le virgolette sono d’obbligo. In qualcuna si divertiva a lasciare refusi ogni tre righe; anche due, se particolarmente ispirato. Insomma, roba che bisognava fare la parafrasi per capirci qualcosa. Intendiamoci, non che il contenuto valesse la pena dello sforzo. In altre recensioni ancora, infatti, il nostro Premio Strega si toglieva le scarpe, descriveva il suo modo di grattarsi la schiena, il braccio, la mano, la caviglia, le pa… Beh, avete capito. Chi un po’ se ne intendeva di giornalismo ed eventi culturali urlò allo scandalo: “Ma è inammissibile!”, “Che boiate pubblicate?”, “E questa sarebbe una recensione?”, “Pago il giornale per leggere un idiota che va a teatro a dormire?”. I fan, invece, lo acclamavano per lo stile come un avanguardista, un genio visionario che con le sue recensioni sconclusionate attaccava il tedioso giornalismo moderno. Per il contenuto – sentite qua che roba – si trattava di una dura critica al vecchio modo di fare teatro. Lui che si grattava, annoiava e dormiva era una denuncia, un j’accuse, una richiesta: “Basta con queste rappresentazioni pompose e noiose; vogliamo roba nuova, roba dinamica”.

Accadde, poi, che il nome di Gianmaria degli Alberici iniziò a circolare anche negli ambienti dell’editoria internazionale. Tutto il vecchio continente si mise in contatto con lui, ma a spuntarla fu un giornale statunitense, quindi dall’altra parte del mondo. Il nostro influencer lo scelse perché gli aveva dato ancora più carta bianca di quanta ne avesse in Italia; una manna dal cielo, visto che si era scocciato di andare a ronfare a teatro. Voleva esordire nella cronaca, anche nera possibilmente, e infatti iniziò a scrivere notizie totalmente inventate. Almeno aveva la premura di arricchirle di particolari, ma comunque si trattava di fake news… E per giunta, sapete come le scriveva? Metà in italiano e metà in inglese, con entrambe le lingue piene di errori e sovversioni sintattiche. Immaginate di leggere: “Vicino al lighthouse on the sponda ovest del Dallas sea was trovato the cadavere of a man with chicken zampe al posto of feet and piume sparse everywhere”. State ridendo? Siete inorriditi? Ecco, allora potete capire cosa abbia provato chi, negli Stati Uniti, un po’ ne capiva di giornalismo nel leggere notizie del genere, peraltro scritte in quel modo barbaro. Ma i fan, nel frattempo divenuti internazionali, lodarono l’ennesimo tentativo di Gianmaria di rompere gli schermi, di abbattere le barriere linguistiche e le convenzioni grammaticali adottando un misto di due lingue: “La sua è una coraggiosissima critica allo sciacallaggio mediatico, alla corsa alla notizia. Pur di avere una storia da vendere, i media sono disposti a crearla da zero… e Gianmaria degli Alberici li mette alla berlina così, imitandoli e dimostrando che il compito di ogni buon giornalista è donare la verità ai lettori”.

E fu così che il nostro influencer si mise in bacheca anche il Premio Pulitzer. A quel punto, un grande regista di Hollywood lo contattò e gli offrì il ruolo da protagonista nel suo nuovo film, una storia drammatica ad alto budget. Roba seria. Gianmaria accettò e, ovviamente, recitò da cane, perché non sapeva farlo. Era goffo, mono espressivo, impacciato, balbettante, e con ogni battuta pronunciata sembrava quasi volesse far ridere, nonostante la trama parlasse di drammi e di lutti. Al debutto in sala della pellicola, chi un po’ ne capiva di cinema corse a farsi rimborsare il biglietto e urlò allo scandalo. I fan, invece, lodarono la sua “magnifica”, “impeccabile”, “sublime” performance. Dopotutto, quel modo di recitare, dicevano, era una rottura con il passato (sì, l’ennesima), una dura critica agli attori e ai loro metodi e contro metodi: “Lo studio del personaggio, l’immedesimarsi nella parte… Basta con queste cazzate. Basta con queste grandi enfasi di sguardi, parole e gesti. Degli Alberici sta dicendo a tutti noi che bisogna tornare alla naturalezza”.

E fu così che il nostro influencer si portò a casa l’Oscar come migliore attore protagonista. Il film sbancò ai botteghini di mezzo mondo; allora, un produttore lo contattò e gli offrì la possibilità di esordire dietro la macchina da presa. Il Gianmaria regista fu anche peggio del Gianmaria attore. Facciamo un esperimento. Prendete il vostro smartphone e iniziate a registrare mentre correte e inquadrate cose o persone a caso. Dimenticate Scorsese, Coppola, Tarantino… Già così, seguendo le mie istruzioni, avrete imitato lo “stile” di Gianmaria. Quando il suo film uscì, chi un po’ ne capiva di cinema andò a controllare il calendario. Magari era il 1° di aprile e si trattava di uno scherzo. I fan, invece, chiudevano lo spettacolo sempre con una standing ovation. Indovinate perché: “Degli Alberici è più grande esponente della new new Hollywood, un movimento di rivoluzione cinematografica che si fa beffe di quei registi che, attraverso primi e primissimi piani e contropiani, panoramiche e altre minchiate di virtuosismi, pensano soltanto a dimostrare quante acrobazie sanno fare con la cinepresa, perdendo di vista il vero obiettivo: intrattenere il pubblico”.

E fu così che il nostro influencer si portò a casa un altro Oscar, stavolta come miglior regista. Intanto, in Svezia, in qualche ufficio si stava discutendo della possibilità di insignirlo di un premio molto prestigioso. Gianmaria volò quindi a Stoccolma a ritirare il Nobel per la letteratura.
Quando gli chiesero di fare un piccolo discorso, il geniale degli Alberici disse: «Non ho nessuno da ringraziare. Siete tutti degli stronzi ignoranti».
Chi un po’ ne capiva di pubbliche relazioni urlò allo scandalo: “Ma come si permette?”, “Che impertinente”, “Revocate subito il premio”. I fan, invece, lo acclamarono come un filantropo, una guida spirituale, un simbolo Secondo loro, aveva pubblicamente denunciato la crudeltà dell’essere umano, la sua ignoranza nel calpestare il prossimo e vivere nell’egoismo. Insomma, a conti fatti, la frase “siete tutti degli stronzi ignoranti” gli valse anche il Premio Nobel per la pace dell’anno successivo.

A tutti quegli encomi fece seguito un profondo dibattito. Erano finiti gli aggettivi per definirlo e una serie di linguisti suoi fan coniarono il termine gianpegnifipendatta, che stava a indicare qualcosa di simile alla perfezione, qualcuno di assolutamente magnifico e inarrivabile. Chi un po’ ne capiva di linguistica si mise le mani in faccia e maledisse il giorno della sua nascita in quel mondo di idioti, ma questa volta anche i fan non erano contenti, perché gianpegnifipendatta era una parola così bella, così rivoluzionaria – come rivoluzionario era l’influencer, scrittore, giornalista, critico, attore, regista, filosofo e filantropo ad averla inspirata – che non la si poteva certo usare nel parlato comune. Era un vero spreco. Allora accadde qualcosa di impensabile. I governi mondiali si riunirono in un’unica sede e concordarono la prima legge assoluta valida in tutto l’emisfero terrestre (da qualche parte c’era scritto che sarebbe entrata in vigore anche in caso di colonizzazione di altri pianeti): nessuno poteva più scrivere o pronunciare il termine gianpegnifipendatta. Chi un po’ ne capiva di giurisprudenza e di politica la prese a ridere: “Sono millenni che vi fate la guerra e litigate per i motivi più disparati; adesso riuscite a stringervi la mano ed essere d’accordo su qualcosa di più idiota di voi”. I fan, invece, si riversarono in piazza e fecero fiaccolate in onore di Gianmaria, l’unico uomo della Storia ad aver fatto dialogare civilmente tutti i governi mondiali.

A quel punto la Santa Sede voleva farlo papa. Il conclave per le votazioni durò appena due minuti – erano tutti d’accordo – e in suo onore il Vaticano fece uscire una fumata color arcobaleno.
«Habemus papam», gridò qualcuno.
Una massa informe di gente di ogni lingua, nazione, etnia e professione – c’erano perfino il presidente della Corea del Sud e il Capo di Stato della Corea del Nord, ora grandi amici, grazie al meeting internazionale dell’affaire gianpegnifipendatta – occupò Piazza San Pietro sia in lunghezza sia in altezza, formando prima semplici torri umane, poi interi condomini con tanto di luce e servizi. Verso sera, un celebre architetto fondò il suo primo grattacielo in carne e ossa… e fu difficile spiegargli che non aveva i permessi per affittare il super attico lassù in cima. Ma torniamo a noi. Papa Gianmaria 151° – numero scelto totalmente a caso – comparve dal balcone della Santa Sede, si mostrò alla folla e la benedì con le dita incrociate. Nel mentre ballava il moonwalk. Fortuna che aveva chiesto di installare un maxischermo per le riprese della papa-piede-camera, altrimenti i fedeli se lo sarebbero persi.
«Sarò – esclamò Gianmaria 151° a mo’ di suspence – il primo – intanto che scandiva così lentamente le parole, il pubblico sussurrava “ooooooooooooohhhhhhhhh” e con le mani si preparava alla ola – pontefice laico della Storia!».
«Olèèèèèèèèèèèè», gridarono giù in piazza.
Chi un po’ ne capiva di cattolicesimo urlò allo scandalo, all’eresia, ma i fan di tutto il mondo lo acclamarono come un riformatore, un messia, perché la sua era una denuncia alla Chiesa del passato, ai pontefici corrotti e spregiudicati che inseguivano il potere temporale a discapito di quello spirituale. E la storia del “papa laico”? Che grand’uomo, pensava la gente. Che santo quel Gianmaria 151°. La religione deve unire, non dividere, e lui, la più alta carica del mondo cattolico, si professava ateo per lanciare un messaggio di fratellanza, perché sarebbe stato la guida spirituale di tutti – induisti, buddhisti, ebrei, taoisti, shintoisti, mitraisti, satanisti, maradoniani, scientologisti, pastafariani– nessuno escluso. In poche parole, come scrisse qualcuno su uno dei tanti giornali che commentarono la notizia: “Gianmaria 151° avvicinerà i fedeli di ogni credo. Ecco! Per questo si è dichiarato un papa laico”.

Il suo pontificato fu lungo e prosperoso. Ogni tanto si divertiva a organizzare dei tavoli da poker in Vaticano – tornei seri, roba da professionisti – e guai a contraddirlo! Per esempio, un giorno giunse un cardinale a rimproverarlo.
«Santità, non le sembra di stare un po’ esagerando?».
«E perché mai, amico mio?».
«Il gioco d’azzardo in un luogo come questo?».
«E quindi?».
«Santità…».
«Ascolti. Lei se lo ricorda… ?», e citava il nome di un qualche suo predecessore.
«Certo».
«Anche lui si dava ai piaceri della vita, dico bene?».
«Certo».
«E anche lui giocava d’azzardo, giusto?».
«Giusto».
«E sa qual è la differenza fra me e lui?».
«No, santità. Mi illumini».
«Che almeno io non baro… Ah, caro amico, mi faccia un piacere».
«Ai suoi ordini santità».
«Se all’ultima mano lei avesse poker d’assi e il suo avversario si fosse appena giocato l’Arca dell’Allenza, cosa farebbe?».
«L’Arca dell’Alleanza? Quella vera?».
«Sì, ce l’aveva uno sceicco. Ho già chiamato degli esperti. È autentica».
«Santità, penso che mi giocherei il Vaticano pur di riavere una reliquia del genere!».
«Non sia sciocco. Ho fatto all in con Piazza San Pietro».
«Saggia scelta, santità. Gli annali ricorderanno Gianmaria 151° come colui che ha restituito al mondo l’Arca dell’Alleanza».
«Certo, certo… Ora, però, sia gentile: spieghi ai fedeli cos’è successo e li esorti a lasciare libero il passaggio».
«Ma santità…»
«Quel bastardo aveva scala reale…».

Il Santo Padre riuscì a riprendersi la piazza in una storica rivincita trasmessa in mondovisione, ma all’ultima mano dovette alzare la posta fino a giocarsi gli interi archivi vaticani; lì sì che qualcuno sudò freddo. Nonostante i tanti “incidenti” profani, fu amato e riverito in ogni dove e, quando morì – in una mattina d’estate di tanti anni dopo – com’è giusto che sia, subito ascese al cielo. Alle porte del paradiso lo accolse una calca di beati che, dal giorno in cui lo avevano fatto papa, avevano seguito con interesse le sue gesta e volevano farlo entrare nella cerchia ristretta dei più santi fra i santi, i cosiddetti “Santissimissimi”. Chi un po’ ne capiva di cose ultraterrene gridò allo scandalo – per loro, Gianmaria 151° era stato una barzelletta, l’esempio più alto dell’ipocrisia e della stupidità terrestre – ma i suoi fan celesti lo acclamarono come un riformatore divino, un simbolo delle infinite potenzialità della razza umana. Il giorno in cui i Santissimissimi si riunirono per votarne l’ingresso, un giornalista celeste del Paradise Lost Mirror intercettò Gianmaria 151° e gli chiese di commentare a caldo la notizia che anche Dio era un suo grande ammiratore.
«Beh, in fin dei conti, qualcuno come me lo avete già visto e apprezzato. Pure Gesù Cristo era un esperto in comunicazione, no?».
«Quindi è d’accordo con chi la definisce il secondo Messia?».
«Ma sì. Perché non dovrei? Entrambi abbiano iniziato come influencer».
«Lei ha letto la Bibbia?».
«No. È un po’ troppo lunga… E poi, al catechismo, qualcuno mi ha spoilerato il finale!».

L’intervista fu ben accolta dal diretto interessato, Gesù, che, in diretta teledivina, ospite al San Tommaso talk show, replicò a Gianmaria 151° dicendo: «Hai proprio ragione, fratello. Avrei dovuto licenziare quei quattro scribacchini che ho assunto per narrare le mie gesta. Per non parlare degli editori. Hanno scartato alcuni evangelisti di talento perché li ritenevano troppo apocrifi. Valli a capire… Non si sono nemmeno accorti che fra vecchio e nuovo testamento hanno fatto credere che si tratti dello stesso Dio. Insomma, il primo era abbastanza vendicativo…».

Fermi tutti; spieghiamo questa storia di Dio. Colui che creò il Sole, la Terra, Adamo, Eva, ecc. era Dio 1°, che, come ben sappiamo, il settimo giorno si riposò. Gli piacque così tanto quella sua invenzione, l’ozio, che decise di andarsene seduta stante in pensione e nominare un altro Dio, Dio 2°, colui che fece tanti problemi per una mela. Poi anche lui andò in pensione e lasciò il posto a Dio 3°, che, a sua volta, andò in pensione e si fece sostituire da Dio 4°. In poche parole, il Dio che aveva detto ad Abramo di uccidere Isacco non era lo stesso Dio che aveva ordinato il diluvio universale o le piaghe d’Egitto. Comunque sia, Gianmaria 151° entrò a far parte dei Santissimissimi e, dopo appena pochi anni dalla sua ascesa in paradiso, tutte le malelingue tacquero.
Un giorno, però, il Dio in carica, Dio 4.972.105° decise di ritirarsi a vita ultraterrena privata, e designò Gianmaria 151° come suo successore, indicandolo come colui che avrebbe portato una ventata d’aria fresca nel regno dei cieli. Gli altri Dio, quelli ormai in pensione, gridarono allo scandalo: «Va bene che sulla Terra lo hanno fatto passare per scrittore, attore, regista e papa, va bene che anche qui lo avete accolto fra i Santissimissimi, ma non vi sembra che farlo Dio sia un po’ troppo?». Le parole di Dio 2.777.812° non sortirono alcun effetto; proprio come quelle di Dio 1.678.890° – «Non ricordo una decisione tanto sbagliata dai tempi di Rodrigo Borgia in Vaticano» – e Dio 205.866°: «Tanto valeva chiamare quel greco… Zeus!». Si cercò di interpellare anche Dio 1°, ma niente… Per lui era sempre domenica. Se ne stava lì sulla sua amaca a ronfare e non ne voleva sapere di esprimere un giudizio divino. Infine, Dio 4.972.105° fece valere la sua autorità di Dio in carica e garantì per Gianmaria 151°, che assunse i pieni poteri dell’universo.

Divenuto Dio 4.972.106°, Gianmaria prese possesso del suo nuovo ufficio e chiese a un segretario angelico di procurargli un libro vuoto. Passò interi decenni a scrivere e riscrivere, ma arrivò a un punto morto in cui non sapeva più come concludere. Una mattina, qualcuno bussò alla porta e lo informò che era appena morto un ex influencer. Il tizio voleva un’udienza con lui. Dio 4.972.106° smise di camminare pensieroso avanti e indietro per la stanza e si andò a sedere. Assunse un atteggiamento dignitoso, composto e autoritario: aveva avuto un’idea. Quando l’ex influencer entrò, Dio 4.972.106° lo fermò con la mano e con voce solenne disse: «So già tutto, tranquillo. Sono Dio; sono onnisciente. Ora puoi andare».
L’ex influencer obbedì e Dio 4.972.106° scoppiò a ridere.
“Meno male che Dio 2.631° ha inventato questa cazzata dell’onniscienza”, pensò fissando la porta del suo ufficio. “Non perdi tempo ad ascoltare gli altri, ma vieni comunque apprezzato”.
Il suo sguardo tornò a concentrarsi sul libro. Immaginò che l’ex influencer gli avrebbe voluto dire qualcosa del tipo: «Anche io come te avevo numeri, follower e mi piace. La gente mi amava e qualsiasi cosa facessi o dicessi la giustificavano. Trovavano sempre il modo per idolatrarmi. Poi, ho denunciato pubblicamente…».
“Un genocidio? Una guerra ingiusta? Un abuso di potere? Un governo corrotto? Che potrebbe mai aver detto?”, rimuginò assorto nei suoi pensieri. “Non importa, mi inventerò qualcosa”.
«… e sono finito alla gogna mediatica. Mi hanno distrutto e ho perso tutto. Non capisco. La mia storia è come la tua, ma perché a te è andata bene e a me no?».
In quell’immaginaria discussione, allora, Dio avrebbe dato una pacca sulla spalla all’ex influencer e, con fare paterno, avrebbe pronunciato una grande verità, breve, concisa e, purtroppo, sempre attuale: «Che ci vuoi fare… È l’algoritmo della vita».
Dio 4.972.106° gongolò e mise tutto su carta. Il libro era finito – lo chiuse – ma mancava ancora il titolo.
«Certo!», urlò in preda a un’estasi divina.
Prese la penna e scrisse: “La gianpegnifipendatta stupidità dell’uomo”.

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